IL RAPPORTO POLITICA-RELIGIONE (Stefano Fontana)

Il potere politico non può porsi come indifferente rispetto alla varie religioni, ma deve esaminarle alla luce della ragione e del bene comune
RIASSUNTO  Il rapporto politica-religione

LA LAICITA' E I DOVERI DELLA POLITICA NEI CONFRONTI DELLA RELIGIONE VERA

Le religioni possono godere di un vero rispetto solo dentro una civiltà in cui politica e fede cattolica tornino a saldarsi

 

Ormai giunto alla 86° conferenza, il Centro Culturale "Amici del Timone" di Staggia Senese ha avuto il piacere di ospitare per la seconda volta a Staggia il professor Stefano Fontana, dal 2004 direttore dell'Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuan sulla Dottrina sociale della Chiesa di Trieste, chiamato a tale ruolo da mons. Giampaolo Crepaldi, vescovo di Trieste.
Nato a Verona nel 1952, è professore di filosofia e storia. Dal 2010 è anche direttore del Settimanale diocesano di Trieste "Vita Nuova". Scrive su "La nuova Bussola Quotidiana" e promuove in tutta Italia le scuole di Dottrina Sociale della Chiesa, tra cui ci piace ricordare quella del nostro Centro Culturale e che si può seguire anche a casa attraverso internet.
Queste scuole sono importanti perché purtroppo oggi molti cattolici non sanno più nemmeno gli elementi basilari della Dottrina sociale della Chiesa.

LA LIBERTA' DI RELIGIONE COME VIENE INTESA OGGI
Il professore ha iniziato il suo seguitissimo intervento illustrando come la libertà di religione viene intesa oggi. L'uomo si trova davanti alle varie religioni, compresi l'agnosticismo o l'ateismo, e può scegliere l'una o l'altra. Il potere politico deve garantire questa sua libertà di scelta e questo lo può fare solo rimanendo indifferente a quale scelta venga fatta. L'individuo ha un libero arbitrio che precede la scelta di una religione o di un'altra e questo libero arbitrio è quanto la legge e il potere politico devono garantire. Non si garantisce una scelta ma la libertà di scegliere. La libertà di religione è intesa come la possibilità di scegliere, e poi di professare, liberamente la religione scelta.
Il potere politico è quindi agnostico verso la religione e le religioni, non entra nel merito, non la considera una dimensione a se confacente. Il motivo per sostenere questo, di solito, è il principio di laicità al quale dovrebbe attenersi il potere politico. Se esso distinguesse tra religione e religione eserciterebbe una specie di protettorato per l'una o per l'altra.

PERCHÉ QUESTA CONCEZIONE È SBAGLIATA
Questa concezione è sbagliata. In questo modo, la libertà di scelta è indifferente al contenuto di verità delle varie religioni. Se viene pubblicamente riconosciuta all'individuo la possibilità di scegliere ogni religione, vuol dire che non c'è una religione più vera di altre né una religione che contenga degli errori pericolosi per l'uomo e per la società. Ognuna potrebbe essere sia vera che falsa.
Così facendo, sia il singolo individuo che il potere politico accettano di non avere dei criteri razionali di verità per valutare le religioni. Questo significa che o le religioni non sono soggette a criteri di verità o che l'individuo e il potere politico pensano che la ragione sia così debole da non capire se una religione è più vera di un'altra. È evidente che, in ambedue i casi, c'è una separazione tra ragione e religione.
Ecco allora perché questa versione della libertà di religione non può essere accettata. Essa implica la separazione tra libertà e verità (delle religioni) e tra ragione e religione. Una simile separazione non può essere accettata né dalla ragione né dalla religione (cattolica).

LIBERTÀ E VERITÀ
Concentriamoci ora sulla concezione di libertà che sta alla base della visione della libertà di religione che abbiamo appena visto. Si deve distinguere tra libero arbitrio e libertà. Il primo è la pura capacità di scegliere, la seconda è l'esercizio della scelta secondo il bene. Fare il male comporta la perdita della propria libertà. Il libero arbitrio è una pura capacità di scelta e, quindi, è moralmente non significativo e assolutamente astratto. La libertà vera si ha nella scelta fatta secondo il bene; la schiavitù vera consiste nella scelta del male. San Paolo o Socrate in carcere erano liberi, un terrorista o uno stupratore fuori dal carcere non sono liberi.
L'esistenza di una libertà precedente il bene e il male è l'idea della modernità, ma non è l'idea cristiana. Si tratta di una libertà astratta, vuota e assoluta, che diventa essa stessa giudizio del bene e del male. Se una cosa non è scelta liberamente è male, una cosa scelta liberamente è bene solo per il fatto di essere scelta liberamente. In questo caso Maria Santissima non sarebbe stata libera, dato che libertà era già tutt'uno con la verità. Invece la libertà è resa tale non solo dallo scegliere ma anche dalla scelta: essa ha a che fare fin da subito con la verità. Non può quindi esistere una libertà di scelta indifferente alla verità di quanto viene scelto. Ciò avviene anche nel caso della scelta della religione. Quando si sceglie una religione si compie un atto di libertà connesso fin da subito con il problema della verità. La verità delle religioni che si scelgono assume così un'importanza fondamentale per la vera libertà della scelta. La verità vi farà liberi.

LIBERTÀ DI RELIGIONE E LEGGE MORALE E NATURALE
Una evidente dimostrazione di questo è la possibilità di scegliere religioni che contraddicono principi di legge morale naturale. Una religione che richiedesse di sacrificare esseri umani agli dèi, l'uccisione degli infedeli, le mutilazioni genitali, oppure che impedisse le trasfusioni di sangue per motivi di salute, o subordinasse la donna all'uomo, che prevedesse il diritto del marito di stuprare la moglie, che imponesse forme di governo teocratiche, che prevedesse la prostituzione sacra oppure il plagio delle menti degli adepti, oppure i matrimoni combinati con bambine, oppure la poligamia o la poliandria o che ritenesse lecita l'omosessualità, oppure che prevedesse percorsi di spersonalizzazione… non rispetterebbe la legge morale naturale. Queste religioni conterebbero elementi di falsità e non di verità, di male e non di bene. Chi le scegliesse perderebbe (liberamente) la propria libertà.
Il potere politico non può allora porsi come indifferente rispetto alla varie religioni, ma deve esaminarle alla luce della ragione pubblica e dell'autentico bene comune. Non può allora ammettere un indiscriminato diritto alla libertà di religione. Ci sono religioni – oppure aspetti di alcune religioni – che non hanno diritto a essere professate in pubblico. Certo che, per fare questo, bisognerebbe che il potere politico non avesse rinunciato, come purtroppo ha fatto, all'idea che la ragione politica possa conoscere il bene comune. L'indiscriminata tolleranza per tutte le religioni è figlia della debolezza della ragione in generale e della ragione politica in particolare. Ma non si creda che ciò non dipenda anche dall'aver smesso di pensare pubblicamente che possa esistere una religione vera. La politica è incapace di concepire un bene comune che faccia da criterio di valutazione delle religioni perché ha perso di vista il suo rapporto con la religione vera. Questo è un punto su cui torneremo: il rapporto con la religione vera permette alla ragione di valutare razionalmente la verità delle religioni.

IL SILLABO
Si capisce da quanto detto che la visione preconciliare del Sillabo aveva le sue legittime motivazioni. Il bene comune della società umana implicava il rispetto della legge morale naturale. Elementi di legge morale naturale ci sono più o meno in tutte le religioni ma solo la religione cattolica la garantisce completamente. Inoltre la legge morale naturale, che in linea di principio è accessibile anche alla retta ragione, di fatto ha bisogno della religione cattolica sia per essere adeguatamente conosciuta sia per essere adeguatamente rispettata. Per questo fa parte del bene comune non solo la legge morale naturale ma anche la religione cattolica, senza della quale anche i vincoli della legge morale naturale vengono meno. Papa Francesco ha scritto nella Evangelii Gaudium che c'è un diritto a conoscere il Vangelo. Dogmi cattolici hanno fatto la storia e le eresie avrebbero distrutto la società. Ecco perché lo Stato riteneva di dover proteggere la religione cattolica e impedire le altre religioni.
I ragionamenti ora visti sono stati condotti dal punto di vista della ragione politica. Dal punto di vista della religione cattolica si deve aggiungere che la vita sociale e politica non è indifferente alla salvezza eterna delle anime. Certamente lo Stato non è la Chiesa e anche San Tommaso diceva che non si devono impedire per legge se non i peccati più gravi. Ma è evidente che l'organizzazione della vita terrena può impedire gravemente la salvezza delle anime. Tale vita terrena non ha solo un significato strumentale verso quella eterna, ha anche una sua propria dignità dovuta alla creazione, eppure, dentro l'unicità della vocazione alla salvezza, gioca un ruolo fondamentale per la salvezza o la perdizione.
Faccio notare che tutti i concetti ora visti sono rimasti perfettamente tali nel magistero successivo e odierno: che esista una legge morale naturale, che tale legge morale naturale abbia bisogno della religione cristiana, che non esista un ordine naturale completamente autonomo rispetto a Dio, che la religione cristiana abbia la pretesa di essere la religione vera, che del bene comune faccia parte la religione vera, che le persone e le società (per gli Stati vedremo poi) abbiano dei doveri verso l'unica vera religione è considerato dottrina anche oggi. In altre parole la regalità sociale di Cristo è tuttora dottrina della Chiesa.

CONCLUSIONE
Per paradossale che possa sembrare, è solo il rapporto privilegiato tra ragione politica e fede cattolica che garantisce la vera libertà di religione a tutte le religioni. La fine dello Stato confessionale, la deriva violenta più che garantista dell'indifferentismo religioso, la grave intolleranza praticata da chi pretende di essere tollerante ma non tollera chi pensa che non tutto si possa tollerare, ci hanno già mostrato che le religioni possono godere di un vero rispetto, anche se non assoluto, solo dentro una civiltà in cui ragione politica e fede cattolica tornino a saldarsi. Non sono in contraddizione, quindi, i cattolici che si battono per ristabilire questo nesso ed essi non possono essere rimproverati di non rispettare la libertà di religione.

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CHIESA E SCUOLA: L'UNITA' DEL SAPERE (Don Samuele Cecotti)

VIDEO  Don Stefano e la scuola cattolica

Fondatore della scuola Gesù Maestro a Staggia Senese




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LA VERA CHIESA (Gianpaolo Barra)

RIASSUNTO  La vera Chiesa

LA VERA CHIESA? E’ QUELLA CATTOLICA!

 

n questo periodo di feroce attacco da parte dei mass-media nei confronti della Chiesa Cattolica e in particolare del Papa, nel Centro Culturale "Amici del Timone" di Staggia Senese abbiamo parlato del ruolo del Romano Pontefice quale Capo visibile della Chiesa universale.
Come è noto, questo è contestato, sebbene con motivazioni assai diverse tra loro, dalle confessioni cristiane non cattoliche. Secondo queste ultime, in origine il Vescovo di Roma non avrebbe avuto potere di governo e di giurisdizione sulla Chiesa universale. Ma la storia dimostra il contrario e cioè che soltanto la Chiesa cattolica è la vera Chiesa edificata da Gesù Cristo. Ortodossi, protestanti, anglicani, valdesi e testimoni di Geova non possono vantare altrettanto.
Abbiamo consolidato le ragioni della nostra appartenenza alla Chiesa cattolica, che ha come capo visibile il Romano Pontefice con le prove che ci fornisce la storia.
A parlarci di questo argomento classico dell’apologetica il 9 aprile 2010abbiamo avuto colui senza il quale il nostro centro culturale non sarebbe nato: il professore Gianpaolo Barra, fondatore e direttore del Timone, autore di un quaderno del Timone sull’argomento, conduttore su Radio Maria del seguitissimo "Corso elementare di apologetica".
Gianpaolo Barra ci ha condotto alla ricerca della vera Chiesa fondata da Gesù di Nazareth. Né le chiese che appartengono alla prolifica famiglia della Riforma protestante, né quella anglicana, né la valdese (per citare solo le più note) possono dimostrare, con prove storiche, d’avere origini che risalgono all’età apostolica. Di sicuro, nessuna di esse è stata fondata da Gesù. Soltanto la Chiesa cattolica e quella dell’Oriente cristiano, l’Ortodossa, hanno un’età bimillenaria. La sola, vera Chiesa istituita dal Signore non può che essere una di esse. E solo su queste due confessioni il direttore del Timone ha svolto la sua indagine di carattere storico.
Come facciamo a capire qual è la vera Chiesa fondata da Cristo? Ci aiuta a rispondere l’esame di un’altra caratteristica della vera Chiesa di Cristo: il Primato di Pietro.
Il Primato di Pietro, promesso da Cristo al Principe degli Apostoli, divide le Chiese d’Oriente dalla Chiesa cattolica. Le prime riconoscono a Pietro, e ai suoi successori, i Vescovi di Roma, un Primato di onore, ma non di giurisdizione. La posizione del Vescovo di Roma è certamente privilegiata rispetto a quella di tutti gli altri Vescovi, ma non tale da consentire al successore di Pietro di governare tutta la Chiesa. Questo è quanto credono le Chiese d’Oriente. La Chiesa Cattolica ritiene invece che i successori di Pietro, i Papi, i Vescovi di Roma, abbiano un Primato che comporti anche il governo di tutta la Chiesa, non solo un Primato d’onore. Chi ha ragione? La risposta deve esserci fornita dalla storia, precisamente da quella storia che hanno in comune la Chiesa cattolica e le confessioni dell’Oriente cristiano.
In primo luogo: non si hanno dubbi che, fin dai primi decenni successivi la morte di Pietro, il suo ministero sia stato esercitato dal Vescovo di Roma. La Chiesa primitiva era comandata dal Vescovo di Roma. Ne dà testimonianza l’episodio che vede come protagonista papa Clemente, quarto Vescovo di Roma dopo Pietro, Lino e Anacleto. Di Clemente ci è pervenuta la celeberrima lettera che egli scrisse, sul finire del I secolo, ai cristiani di Corinto. Questi ultimi avevano deposto i loro capi dando vita ad una pericolosa situazione di anarchia. Ecco le parole con le quali Clemente interviene per condannare questa deposizione: "Quelli che furono da essi [Apostoli] stabiliti o dopo da altri illustri uomini con il consenso di tutta la Chiesa, che avranno servito rettamente il gregge di Cristo con umiltà, calma e gentilezza e che hanno avuto testimonianza da tutti e per molto tempo, li riteniamo che non siano allontanati dal ministero" (CLEMENTE ROMANO, Lettera ai Corinti 44,3, in I Padri Apostolici, a cura di Antonio Quacquarelli, Città Nuova, Roma 1981, p. 78). Clemente dà un ordine: vengano reintegrati nei loro ruoli di comando quelli che la comunità della Chiesa di Corinto aveva allontanato. Giunge persino a minacciare gravi sanzioni qualora le sue disposizioni non siano rispettate: Quelli che disobbediscono alle parole di Dio, ripetute per mezzo nostro, sappiano che incorrono in una colpa e in un peri-colo non lievi" (Ibid., 59, in I Padri Apostolici, cit., p. 88).
Dunque, la storia ci dice che Clemente, Vescovo di Roma, successore di Pietro:
– interviene negli affari interni di una Chiesa, quella di Corinto, che, al pari di quella di Roma, aveva origini apostoliche.
– interviene mentre è ancora vivo Giovanni, uno degli Apostoli.
– interviene minacciando sanzioni se non viene obbedito.
Come non ricordare, proprio in questo episodio, l’applicazione di quel potere di "legare e sciogliere" che Gesù aveva conferito a Pietro e che in questa occasione viene esercitato dal suo legittimo successore? La lettera di Clemente, che rivela il ruolo preminente del Vescovo di Roma su un’altra Chiesa, viene conservata con cura dalle comunità cristiane primitive, tanto è che nell’anno 170, il vescovo di Corinto, Dionigi, scrive a papa Sotero informandolo che quello scritto era letto nella celebrazione eucaristica domenicale. Nel I secolo, quando la Chiesa era una, sembra certo che il Vescovo di Roma esercitasse il suo "Primato" non solo dal punto di vista onorifico, ma anche e soprattutto nel governo della Chiesa. La storia ci offre altri dati.
Nel secondo secolo, il ruolo di governo e di guida del Romano Pontefice era pacificamente accettato nella Chiesa intera. Lo attesta una serie di documenti di incomparabile valore.
Per brevità citiamo soltanto Ireneo (ca 140-ca 200), vescovo di Lione, che nella sua famosissima opera Adversus haereses, scritta per confutare le dottrine eretiche, riferendosi alla Chiesa di Roma, ci lascia scritto: "Infatti, con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d’accordo ogni Chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte… essa nella quale per tutti gli uomini sempre è stata conservata la Tradizione che viene dagli Apostoli" (S. IRENEO DI LIONE, Contro le eresie egli altri scritti, 111, 3) 2, a cura di Enzo Bellini, Jaca Book, Milano 1981, p. 218).
È difficile trovare un documento più chiaro riguardante le convinzioni dei primi cristiani in merito al Primato della Chiesa di Roma. Con questa Chiesa, cioè con la Chiesa Cattolica, deve rimanere in comunione ogni cristiano, da qualunque parte provenga, occidentale od orientale. Sono parole che bene farebbero a leggere Protestanti, Anglicani e anche Ortodossi, tutti allontanatisi dalla Chiesa di Roma nel corso dei secoli.
Anche nel terzo e nel quarto secolo il Primato della Chiesa di Roma non veniva posto in discussione dai Cristiani. Tra i documenti che lo attestano, ricordiamo le parole che sant’Agostino, vescovo di Ippona, rivolge a quanti, come al suo tempo i Donatisti, avevano abbandonato l’unità con la Chiesa Cattolica: "Voi sapete che cos’è la Chiesa cattolica: è la vite di cui voi siete i tralci tagliati… Perciò affrettatevi a ritornare per essere nuovamente innestati sulla vera vite. Poiché infatti la vera vite è là dove è la sede di Pietro, quella sede di cui noi conosciamo la serie autentica dei titolari. Ivi è la pietra contro la quale non prevarranno le porte dell’inferno" (S. AGOSTINO, Psalmus contra partem Donati, del 394).
Ai tempi di s. Agostino, quando non s’era verificata la scissione tra Cristiani d’Occidente e d’Oriente, coloro che abbandonavano la Chiesa cattolica venivano invitati a "ritornare per essere nuovamente innestati sulla vera vite", vera vite che coincideva con la cattedra di Pietro. Per il santo vescovo di Ippona, le parole di Cristo: "le porte degli inferi non prevarranno" erano state rivolte alla Chiesa cattolica, alla Chiesa di Roma, dov’era la sede di Pietro e dei suoi successori. Questo invito conserva tutto il suo valore. Oggi un cattolico lo rivolge, forte della tradizione della Chiesa, a quei Cristiani che non sono in comunione con la Cattedra di Pietro, cioè con la Chiesa Cattolica. La storia ci insegna che i Pontefici di Roma hanno esercitato il loro Primato, che comprendeva anche il governo della Chiesa, ben prima che si verificasse la scissione dolorosa del 1054, che separò l’Oriente dall’’Occidente cristiano.
Sempre per ragioni di brevità, qui ricordiamo solo che Papa Vittore (189-199) decide di scomunicare le Chiese d’Asia che non si accordavano con la Chiesa di Roma nella definizione della data della celebrazione della Pasqua. Il fatto è di rilevante importanza. Infatti, nessun vescovo, tranne quello di Roma, il Papa, poteva attribuire a se stesso un potere come questo: scomunicare tutte le Chiese di un’intera regione. Siamo di fronte all’esercizio di quel potere di legare e di sciogliere affidato da Gesù a Pietro e tramandato ai suoi successori. Un potere che nessuno osa contestare, quando la Chiesa era una. Ma la storia ci offre anche altri dati interessanti. Essa ci consente di conoscere ciò che, in merito al Primato di Pietro, i predecessori degli attuali vescovi e patriarchi dell’Oriente cristiano, ora separati da Roma, confessavano prima della dolorosa scissione. Erano anch’essi convinti che si trattasse solo di un Primato d’onore e non invece di giurisdizione? A questa domanda rispondono i documenti che ci sono pervenuti dai primi Concili della Chiesa, riconosciuti come validi anche dagli attuali vescovi dell’Oriente scismatico. I primi quattro Concili si svolgono tutti in Oriente, convocati dall’Imperatore. Il Papa non vi partecipa, ma manda suoi rappresentanti. L’esame dei documenti approvati dai Concili non lascia alcun dubbio sul riconoscimento del Primato di Pietro, sulle prerogative di questo Primato, sul ruolo di guida, di comando e di governo dell’intera Chiesa esercitato dal Vescovo di Roma, riconosciuto ed accettato da tutta la Chiesa. Ecco qualche esempio.
Il Credo approvato dal primo Concilio ecumenico di Nicea (325), alla presenza di oltre 300 vescovi dell’Oriente, è firmato per primo da Osio, vescovo di Cordoba, e da due presbiteri romani. I tre erano i rappresentanti del papa Silvestro.
Nel terzo Concilio ecumenico, tenuto ad Efeso nel 431, il rappresentante del Papa, il presbitero Filippo, pronuncia memorabili parole che, vera e propria esposizione dottrinale del Primato di Pietro, sono accolte in deferente silenzio da tutta l’assemblea: "Nessuno dubita, o Piuttosto è un fatto noto in tutti i secoli, che il santo e beatissimo Pietro, il pescatore e capo degli Apostoli, colonna della fede e fondamento della Chiesa cattolica, ricevette da nostro Signore Gesù Cristo, Salvatore e Redentore del genere umano, le chiavi del regno e che a lui è stato dato il potere di legare e di sciogliere. E Pietro, fino a questo tempo e per sempre vive e Giudica nella persona dei suoi successori. Ora appunto il suo successore e sostituto legittimo, il nostro santo e beato papa Celestino, vescovo, ci ha mandato a questo Concilio per rappresentarlo" (JOANNES DOMINICUS MANSI, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, vol. IV, ristampa anastatica, Graz 1960-1961, p. 1295).
Non meno significativa risulta essere la lettera inviata dal papa Celestino al suddetto Concilio: "Nella nostra sollecitudine noi abbiamo mandato i nostri santi fratelli e colleghi nel sacerdozio, i vescovi Areadio e Proietto insieme con il prete Filippo, uomini specchiatissimi e d’un solo sentire con noi, affinché intervengano nelle vostre discussioni ed eseguiscano ciò che già da noi è stato deciso. Siamo sicuri che la vostra santità si sentirà in dovere di uniformarsi alle loro decisioni" (Ibid., p. 1287).
Infine, ricordiamo il IV Concilio ecumenico, svoltosi a Calcedonia, in Turchia, nel 451. Il Papa Leone I Magno non vi partecipa, ma manda i suoi rappresentanti e pone come condizione che il Concilio venga presieduto da uno di essi, il vescovo Pascasino.
Alla seduta inaugurale si registra una dimostrazione del ruolo preminente del Romano Pontefice. Infatti, il rappresentante del Papa si oppone alla partecipazione al Concilio del Vescovo di Alessandria, Dioscoro, con queste parole: "Abbiamo con noi le istruzioni del beato ed apostolico Vescovo della città dei Romani, il quale è capo di tutte le Chiese (qui est caput omnium Ecclesiarum), ed esse prescrivono che Dioscoro non deve partecipare al Concilio e se tenta di farlo deve essere espulso" (Ibid., vol. VI, pp. 580-581). L’affermazione che il Vescovo di Roma è "capo di tutte le Chiese", pronunciata solennemente dinanzi a tutti dal legato pontificio, non scandalizza i presenti e nessuno la contesta, nemmeno il Patriarca di Costantinopoli, ivi presente, che, lo ricordiamo, era predecessore dell’attuale Patriarca di Costantinopoli che oggi non riconosce il pieno Primato di Pietro.
Abbiamo qualche argomento per trarre una conclusione. La documentazione fin qui esaminata ci porta ad affermare che, prima dello scisma di Costantinopoli dell’anno 1054, che darà vita alla Chiesa d’Oriente, il Primato di Pietro era riconosciuto da tutta la Chiesa, affermato dai Concili ai quali parteciparono i predecessori di quanti oggi lo contestano nella sua interezza. La storia ci dimostra, con abbondanza di documenti, che si trattava di un Primato non solo di onore (come sarebbero disposti a riconoscere tuttora le gerarchie della Chiesa ortodossa) ma di governo e di giurisdizione, come lo crede e lo esercita ancora oggi, come sempre ha fatto e continuerà a fare, la Chiesa Cattolica. Ne consegue che, sulla base della documentazione storica in nostro possesso, è la Chiesa di Roma, cioè la Chiesa cattolica, che ha conservato intatta sia la dottrina sia il ruolo ed i compiti che Cristo ha affidato a Pietro e ai suoi successori. È proprio dalla storia che ci giunge il permesso di affermare, con un notevole margine di certezza, che la sola Chiesa fondata da Cristo è quella cattolica, che fa capo al Vescovo di Roma.
Infatti, essa sola, tra tutte le Chiese oggi esistenti:
– ha origini che risalgono all’età apostolica, attraverso la successione dei sommi pontefici a partire da Simon Pietro, e dunque è stata fondata da Gesù Cristo;
– conserva intatto il Primato di Pietro, così come lo ha istituito il Signore e lo ha compreso ed esercitato la Chiesa primitiva. Primato non solo di onore ma di giurisdizione, cioè di governo della Chiesa intera;
– può dimostrare che questo Primato fu riconosciuto, accolto e accettato da tutta la Chiesa dell’antichità e fu sempre esercitato dai Papi.
– infine, può dimostrare che quanti negano l’esercizio del Primato di Pietro, quanti contestano il ruolo che ancora oggi ricopre il Papa, si sono allontanati dalla vera dottrina insegnata da Gesù Cristo, dalla sola Chiesa fondata dal Maestro e dalla consuetudine, cioè dalla Tradizione della Chiesa.
Il cattolico ha argomenti sufficienti per esporre, sostenere e difendere i motivi di credibilità della Chiesa cui appartiene.

PER APPROFONDIRE
"La vera chiesa? È quella cattolica", Gianpaolo Barra, quaderni del Timone: clicca qui!

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L'INCONTRO CON CRISTO (Pietro Sarubbi)

Attore che ha interpretato nel 2004 il ruolo di Barabba nel film La Passione di Cristo di Mel Gibson: proprio durante le riprese si converte grazie allo sguardo di di Jim Cavizel che interpretava Gesù
RIASSUNTO  L'incontro con Cristo

UNO SGUARDO FULMINANTE

La giornata della Bussola della Toscana del 2024 ha avuto il suo momento più emozionante nella testimonianza dell'attore Pietro Sarubbi

La giornata della Bussola della Toscana del 2024 ha avuto il suo momento più emozionante nella testimonianza dell'attore Pietro Sarubbi. Il suo intervento ha saputo intrecciare risate, scatenate dalle sue battute, e momenti di commozione, con frasi spezzate da un nodo alla gola. L'attore ha iniziato il suo percorso artistico lavorando in teatro. Nel 1980 arrivano i primi contratti Rai per Portobello, Fantastico e numerosi film tv. Debutta nel cabaret con Zelig e dal 1985 partecipa a film-tv, fiction e sit-com di successo tra cui Casa Vianello e Camera Cafè. La presenza fissa al Maurizio Costanzo Show gli dà una certa notorietà. Poi la svolta grazie alla sua interpretazione di Barabba nel film di Mel Gibson "La Passione di Cristo". Sarubbi ha raccontato il suo incontro con il regista, durante il quale scoprì che il suo personaggio non pronunciava nessuna battuta. Egli, che fino ad allora aveva pensato solo alla gloria e al profitto, non voleva accettare quella parte, perché avrebbe significato un basso guadagno, infatti più un personaggio parla, maggiore è il guadagno dell'attore. Sarubbi quindi continuava a ripetere a Gibson di fargli dire qualche battuta o, in alternativa, di interpretare un altro personaggio, magari San Pietro. Gibson tentò di convincerlo spiegandogli l'importanza di Barabba, che in aramaico significa "figlio del padre", una traccia del suo essere figura messianica, una sorta di alter ego di Gesù, Figlio del Padre del cielo. Sarubbi non capiva perché Mel Gibson stava lì ad insistere per convincerlo. A lui, che era un attore secondario, il regista disse che aveva bisogno della sua vera rabbia per il "suo" Barabba. Questo personaggio era discendente del capo degli zeloti e si era ormai abbruttito a causa del male fatto e della prigionia: in pratica era diventato come una bestia. E come tale non parlava più, ma esprimeva tutto con grida ed espressioni facciali minacciose. Alla fine Sarubbi si convinse ad interpretare Barabba. Iniziarono le riprese, durante le quali Mel Gibson non permetteva a nessun attore di incontrare Jim Cavizel che interpretava Gesù. Mel Gibson voleva infatti che il primo incontro che gli attori avevano con Gesù fosse autentico. Questo per catturare il primo sguardo e la reazione che suscitava il vedere concretamente Gesù. Il regista infatti ha realizzato il film ponendo molta attenzione agli sguardi, come del resto il vangelo racconta usando molte volte il verbo "vedere", "guardare". Peniamo a tutti gli sguardi che si vedono nel film: quelli tra Gesù e sua Madre, lo sguardo di Gesù che si posa su San Pietro, ecc. Sarubbi ha quindi fatto vedere una scena della flagellazione in cui Gesù, stremato dalle frustate dei romani, incontra lo sguardo di sua Madre. Questo gli da la forza di rialzarsi e sopportare una fustigazione ancora più crudele. Dopo diverse riprese arriva il momento fatidico dell'incontro tra Barabba e Gesù. La scena della liberazione di Barabba, provata più volte da solo, adesso si svolge alla presenza degli altri attori. Mentre Barabba scende le scale che lo porteranno verso la libertà si volta a guardare per un attimo Gesù. In quell'attimo, l'attore ha una fulminazione. In quello sguardo di Gesù, Sarubbi si perde e rimane a fissarlo per un lungo interminabile minuto e tutto il set si ferma. Nessuno se la sente di dire niente. Sconvolto, quella sera non esce con gli altri attori come sempre alla fine delle riprese ma se ne va a casa, in uno stato febbrile. Non riesce a dormire e ha paura di restare al buio perché sente ancora quegli occhi addosso e sono occhi pieni di amore. Non capisce cosa gli stia succedendo, non capisce come possa un solo sguardo, tra l'altro nel contesto di finzione del set cinematografico, essere così sconvolgente, così vero. Dopo mesi con questa domanda e con lo sguardo di Gesù fisso nella mente, incontra un sacerdote che gli regala l'enciclica "Deus Caritas Est". Sfogliandola in treno incontra la frase "il Signore sempre di nuovo ci viene incontro attraverso lo sguardo di uomini, con cui egli traspare" e capisce improvvisamente tutto: quella frase è la risposta alla sua domanda di senso. Inizia un cammino di conversione che lo porterà a sposarsi con la donna con la quale conviveva e dalla quale stava per avere il quarto figlio. Perché decide di sposarsi? Perché ormai è diventato fondamentale per lui il rapporto con l'Eucarestia a cui però non può accedere perché in situazione irregolare di matrimonio. Ma lui vuole essere degno di ricevere Gesù e per questo inizia a mettere a posto la sua vita. A questo punto sente il desiderio di raccontare quello che gli è successo a quelli che incontra, ma questo gli costerà la carriera cinematografica.Al termine dell'intervento il direttore della Bussola, Riccardo Cascioli, ha consegnato all'attore il premio "Viva Maria" non solo per il suo talento artistico, ma soprattutto per il coraggio di testimoniare la fede nonostante le difficoltà che questo ha significato. La Giornata della Bussola si è rivelata un evento di grande spessore culturale e spirituale, capace di unire riflessione scientifica, analisi economica e testimonianze di fede, confermando ancora una volta l'importanza di conferenze in presenza del pubblico. Infatti internet offre la possibilità di accedere a qualunque ora e gratuitamente a un numero quasi infinito di conferenze su tutto lo scibile umano da parte di relatori per tutti i gusti. Potrebbe quindi sembrare superata l'esigenza di ritrovarsi in un luogo per fruire di esperienze che possono essere fatte tranquillamente on line senza lo sforzo del viaggio. Giornate come quella vissuta a Staggia Senese dimostrano esattamente il contrario, e cioè che nulla può sostituire il vivere una esperienza in presenza, poiché così si possono cogliere le sfumature che non si vedono nel video, il prima e il dopo della conferenza, il parlare direttamente con il conferenziere una volta sceso dal palco, visitare gli stand dei libri, e per finire, instaurare nuove amicizie con gli altri partecipanti all'evento o magari salutare chi già si conosce e non si aveva altra occasione di incontrare. Anche il momento del pranzo ha aiutato i partecipanti a vivere un'esperienza di convivialità e conoscenza degna dello sforzo fatto per essere presenti. I partecipanti hanno espresso grande soddisfazione sia perché arricchiti da nuove conoscenze, sia per essere stati ricaricati da una forte motivazione di fede. Allo stand della Bussola molti hanno testimoniato di leggere da anni il sito e grazie a questo di avere un punto sicuro a cui appoggiarsi per una corretta informazione. Per alcuni è stata poi l'occasione per abbonarsi alla Bussola Mensile, la rivista cartacea che da un anno ha affiancato il sito della Bussola Quotidiana. Diversi sono stati i lettori della rivista che hanno espresso la gratitudine per questo evento che ha permesso loro di incontrare di persona il direttore e alcuni membri della redazione. L'appuntamento con la Giornata della Bussola della Toscana è per il primo sabato di giugno del prossimo anno.

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SATANISMO – solo audio (Don Claudio Crescimanno)

1) Satanismo razionalista
2) Satanismo occultista
3) Satanismo acido o selvaggio
4) Luciferismo
RIASSUNTO  Satanismo

SATANA, L'AVVERSARIO

È un errore sopravvalutarlo, ma anche sminuirlo

Circa duecento persone erano presenti alla conferenza del 23 febbraio 2007 organizzata dagli "Amici del Timone" di Staggia Senese, segno che l'argomento trattato, il satanismo, interessa molto più di quanto si creda. Relatore della serata, l'ottimo don Claudio Crescimanno che scrive da anni sul Timone ed è uno dei massimi esperti in materia, grazie anche all'esperienza accumulata in otto anni vissuti al fianco di un vescovo esorcista.
Don Claudio ha esordito dicendo che in una realtà come quella che stiamo vivendo è importante parlare del Demonio perché è evidente che il non parlarne a sufficienza va purtroppo a scapito anche di un modo giusto di parlare di Dio.

Ci sono attualmente due atteggiamenti, entrambi sbagliati, che vanno per la maggiore riguardo al Diavolo, alla sua esistenza e alla sua azione, uno che li sopravaluta e l'altro che li sminuisce.
Riguardo al primo, esso prende origine da una nota eresia che ha imperversato fin dall'antichità e che, dietro vari travestimenti, è giunta fino ai giorni nostri e rivive oggi nel clima "new age": il manicheismo. L'idea portante di questa corrente è che esistono due co-principi della realtà, due divinità, il Dio del bene e il Dio del male. Di fatto ciò significa fare del Demonio un Dio, anche se di serie B. Nei nostri ambienti imperversano gruppi di "pensatori" che parlano talmente del Demonio che ne fanno un protagonista, ma la sua entità e il suo potere non vanno sopravalutati: non esiste un Dio del male che guarda alla pari l'unico vero Dio, quello del bene.
Il secondo atteggiamento è più grave e, purtroppo, più diffuso. L'errore sta nel fare il Demonio tanto piccolo da farlo scomparire. Quante volte si sente dire: "il Diavolo non esiste"! Questa negazione si può "travestire" in modi assai diversi. Ad esempio, alcuni teologi (che si spacciano per cattolici) sostengono che il Demonio è solo un simbolo (del male), senza una consistenza personale. Altri, invece, dicono che egli non ha nessun impatto sulla società, che "c'è ma è come se non ci fosse": allora perché preoccuparsene? Non è esatta né l'una né l'altra teoria: il Demonio c'è ed è nella misura in cui Dio l'ha messo. Allora è giusto chiederci come l'uomo si rapporta al Demonio, alla sua presenza e alla sua azione. A tal proposito, le reazioni possibili sono due: o si considera il Demonio un amico, sfociando nel satanismo vero e proprio; o lo si considera un nemico di Dio e quindi anche nostro e si lotta contro di lui schierandoci dalla parte della Chiesa.

La parola Satana significa letteralmente "avversario" (di Dio). L'adorazione, il culto, l'amicizia verso il Demonio sono cresciuti mano a mano che è andata morendo la società cristiana medievale. Nel pensare comune, si raffigura sempre il Medioevo cristiano intriso di superstizioni, spiritismo, magia, riti satanici, stregonerie. In realtà, tutte queste cose cominciano proprio con il tramonto di questo periodo, alla corte di Re Luigi XIV, il primo dei sovrani "illuminati", il primo, cioè, di quel periodo spacciato dai grandi pensatori dell'epoca come l'Età della Luce che viene a diramare le tenebre del buio superstizioso Medioevo cristiano. Ma gli stessi signori che di giorno facevano grandi proclami sul valore della ragione, di notte si ritrovavano negli antri delle veggenti a far ballare i tavolini e ad invocare gli spiriti. Da allora è maturato un movimento sotterraneo ma inarrestabile e soprattutto nel dopoguerra se ne sono raccolti i frutti maturi. Si possono individuare quattro correnti principali.

1) Satanismo razionalista
Culto "esploso" negli anni 60, che venera Satana come simbolo e archetipo della libertà assoluta, della trasgressione, del rifiuto della morale religiosa e delle convenzioni sociali, dell'esaltazione del piacere e dell'indipendenza della creatura da qualunque "Dio". Non si pronuncia chiaramente, ma guarda con scetticismo le verità religiose soprannaturali insegnate dalla Bibbia e quindi anche la stessa esistenza del Demonio come essere reale e personale. Le cerimonie di culto che celebra e in particolare la messa nera sono quindi principalmente un modo per manifestare il proprio disprezzo per la religione e tutti i valori a essa collegati e una forma per liberarsi dalle tradizioni e dai vincoli morali ereditati.

2) Satanismo occultista
Culto che accetta le verità religiose insegnate dalla Bibbia e crede all'esistenza di Dio e delle sue creature spirituali, gli angeli buoni a lui fedeli e gli angeli ribelli suoi nemici alla cui testa c'è Lucifero; crede dunque all'esistenza di Satana quale essere reale e personale e decide di schierarsi dalla sua parte contro Dio. I satanisti occultisti adorano e rendono culto a Satana per manifestargli la propria devozione, mostrando di essere votati alla sua causa, cioè guadagnare quanti più uomini possibile alla stessa "fede" e ottenere i suoi favori: denaro, successo, piacere, potere. Credono che dopo questa vita ci sia un'altra vita, immortale, e vogliono trascorrerla nel regno di Satana: l'inferno.

3) Satanismo "acido" o selvaggio
Forma costituita da una variegata e imprecisata moltitudine di piccoli gruppi d'adolescenti e giovani, che sintetizzano nel satanismo quattro elementi diversi:
a) il mito della trasgressione ad ogni costo come affermazione di libertà e indipendenza da tutto e da tutti; in particolare il godimento dei piaceri, specialmente sessuali, anche in forme perverse, senza limiti e senza scrupoli;
b) l'abbondante uso di sostanze stupefacenti che creano un'alterazione della realtà e un senso d'onnipotenza in piena sintonia con le loro aspirazioni;
c) l'attuazione reale dei riti visti nei film e nei fumetti a soggetto satanico, con tutte le esagerazioni tipiche di questo genere di prodotti;
d) l'effetto allucinogeno derivante da un certo tipo di musica rock.
Presso questi gruppi, i rituali sono particolarmente violenti e più che la messa nera si preferisce la profanazione di statue, suppellettili sacre, cimiteri, chiese abbandonate; si praticano con una certa frequenza sacrifici animali e in casi estremi anche umani; anche i riti a base sessuale si svolgono in modo più violento sino ad arrivare alla violenza carnale, specialmente a danno di nuovi adepti di entrambi i sessi durante le cerimonie d'iniziazione.

4) Luciferismo
Forma particolare di satanismo, diversa nel contenuto, poiché mentre nelle forme precedenti Satana è identificazione, personale o simbolica, del male ed è scelto e venerato proprio come Principe del Male, nel luciferismo, invece, lo si venera come figura positiva. La dottrina luciferiana riconosce in Dio il creatore del mondo, ma attribuisce a lui anche le imperfezioni e i limiti delle creature e dunque considera giustificata, anzi doverosa, la rivolta di Satana che guida gli uomini contro il Dio responsabile delle imperfezioni.

A queste quattro generali divisioni, se ne possono aggiungere molte altre. Il satanismo non è infatti una realtà caratterizzata da unità. Non c'è una "Chiesa di Satana" universale che regola le attività. È evidente che ci troviamo di fronte a qualcosa di segreto, clandestino, che non può essere generalizzato appunto perché caratterizzato da sporadicità. Ogni gruppo è slegato dagli altri, anche se spesso si sono notati tentativi di unificazione, anche ad opera del pluri-omicida Charles Manson.

Il fenomeno del satanismo non va sottovalutato perché la capacità del mondo dell'occultismo di impressionare e di coinvolgere psicologicamente ed emotivamente i giovani è molto forte, molto più di quanto non appaia ai ragazzi stessi. Gli pseudovalori di questa contro-cultura hanno una presa che va aldilà del raggio d'azione delle pratiche dirette del satanismo stesso, la mentalità che questo ambiente insinua riesce a raggiungere molti più ragazzi di quanti non sono effettivamente coinvolti nelle pratiche dei gruppi attivi.

Di fronte a tanto male, l'unico caposaldo resta la Chiesa. Tutti (e soltanto) i sacerdoti cattolici sono esorcisti. Il Signore Gesù è venuto a cacciare i demoni che tenevano incatenati gli uomini con il peccato e la paura della morte. Egli ci ha liberato dai peccati con la morte in croce e dalla paura della morte con la resurrezione. Nel celebrare la S. Messa, il sacerdote compie il più grande atto esorcista e chi vi partecipa respinge Satana e le sue azioni.
C'è grande bisogno dell'attività esorcistica perché il Demonio tormenta chi lo considera un nemico almeno in tre modi possibili:
1) con INFESTAZIONI, rendendosi cioè presente nei luoghi;
2) con OSSESSIONI, disturbando le persone nelle cose buone che fanno;
3) con POSSESSIONI, "giocando" con il corpo e la voce di un poveretto che perde completamente il controllo di se stesso.

Perché avvengono queste cose? Per almeno tre motivi:
1) per PERMISSIONE DIVINA: il Signore talora permette cose a noi incomprensibili probabilmente come atto di purificazione o di accrescimento dell'umiltà;
2) per le NOSTRE COLPE: andare dai maghi, farsi leggere le carte, fare sedute spiritiche, vere o false che siano, costituiscono l'anticamera dell'occultismo, aprono la porta alla superstizione e quindi a Satana;
3) per un MALEFICIO fatto da terzi: se la persona "colpita" è in grazia di Dio, il maleficio trova uno schermo e rimbalza su chi lo ha commissionato; se la persona è lontana da Dio, il maleficio ha potere di colpirla.
Dobbiamo difenderci perché il Demonio è bravo nell'insinuarsi ovunque e bisogna rivolgersi a chi di dovere, ossia i preti cattolici incaricati dai vescovi di esercitare il ministero di esorcista.
Non dobbiamo avere paura perché Dio è Dio. Le altre, compreso Satana, sono solo creature. Il Demonio è un poveretto senza Dio e per di più terribilmente cattivo. È una larva che tuttavia ci vuole impressionare. Non diamogli la possibilità di "conquistarci": conduciamo una vita buona, andiamo alla Messa, facciamo la Comunione, preghiamo. Se Dio è con noi, di cosa aver paura?
Rispondendo a una domanda del pubblico, don Claudio ha consigliato questo ai genitori che temono per i loro figli, visto il mondo che li circonda: stare attenti allo "schermo", inteso come televisione e internet. Non devono essere a loro disposizione in camera da letto. I genitori inoltre devono "guardare un pezzetto" di ciò che i bambini vedono alla TV o cercano in rete. È fortemente diseducativo che i ragazzi delle scuole elementari, medie o dei primi anni delle superiori, si chiudano in camera e, senza alcun controllo, guardino la televisione o navighino su internet. Gli adulti non possono permettere che potenti strumenti siano a libera disposizione di chi non ha ancora la maturità per difendersi; hanno il dovere di conoscere i loro figli e le loro abitudini, a costo di risultare "antipatici e impiccioni". Ma, si sa, i cristiani risultano scomodi e contro-corrente, ma proprio in questo sta la loro forza, anche contro il Maligno.

ARTICOLO  The exorcism of Emily Rose

THE EXORCISM OF EMILY ROSE

Finalmente un buon film da vedere

Durante la conferenza don Claudio ha consigliato la visione del film "L'esorcismo di Emily Rose". Ecco di cosa si tratta. La giovane Emily Rose lascia la casa di campagna e la vita con i genitori per andare in città a frequentare il college. Una notte in cui rimane sola nel dormitorio, é colpita da una spaventosa allucinazione e da una perdita di conoscenza. Quando questi attacchi diventano sempre più frequenti, dolorosi e non controllabili, Emily, d'accordo con la famiglia, cattolica praticante, decide di sottoporsi ad un esorcismo. L'incarico è affidato al parroco padre Richard Moore, che conosce Emily fin da bambina. Purtroppo subito dopo il rito la ragazza muore e il prete viene accusato di omicidio colposo per negligenza. In tribunale la difesa del sacerdote é affidata all'avvocatessa Erin Bruner, all'inizio poco convinta dell'incarico e disposta ad accettare solo a patto di diventare, finito il caso, socia dello studio legale di cui fa parte. Al processo vengono ripercorsi a ritroso tutti i fatti, sono ascoltati numerosi testimoni ed esperti scientifici. I fatti sono realmente accaduti in Germania nel 1976. La studentessa si chiamava Anneliese Michel. Sentendo parlare della quantità di aborti che venivano praticati nel mondo si rese conto di quanto fosse abominevole. Si offrì allora al Signore come vittima per riparare ad un peccato così grave e diffuso. Allora Gesù le apparve chiedendogli se era disposta a tutto. Lei rispose affermativamente. Quindi Gesù le chiese se era disposta perfino a sopportare la possessione diabolica. La ragazza accettò senza esitazioni. Questa premessa serve per comprendere meglio il film poiché questo fatto non emerge nel film.

 

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