Il potere politico non può porsi come indifferente rispetto alla varie religioni, ma deve esaminarle alla luce della ragione e del bene comune
RIASSUNTO  Il rapporto politica-religione

LA LAICITA’ E I DOVERI DELLA POLITICA NEI CONFRONTI DELLA RELIGIONE VERA

Le religioni possono godere di un vero rispetto solo dentro una civiltà in cui politica e fede cattolica tornino a saldarsi

 

Ormai giunto alla 86° conferenza, il Centro Culturale “Amici del Timone” di Staggia Senese ha avuto il piacere di ospitare per la seconda volta a Staggia il professor Stefano Fontana, dal 2004 direttore dell’Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuan sulla Dottrina sociale della Chiesa di Trieste, chiamato a tale ruolo da mons. Giampaolo Crepaldi, vescovo di Trieste.
Nato a Verona nel 1952, è professore di filosofia e storia. Dal 2010 è anche direttore del Settimanale diocesano di Trieste “Vita Nuova”. Scrive su “La nuova Bussola Quotidiana” e promuove in tutta Italia le scuole di Dottrina Sociale della Chiesa, tra cui ci piace ricordare quella del nostro Centro Culturale e che si può seguire anche a casa attraverso internet.
Queste scuole sono importanti perché purtroppo oggi molti cattolici non sanno più nemmeno gli elementi basilari della Dottrina sociale della Chiesa.

LA LIBERTA’ DI RELIGIONE COME VIENE INTESA OGGI
Il professore ha iniziato il suo seguitissimo intervento illustrando come la libertà di religione viene intesa oggi. L’uomo si trova davanti alle varie religioni, compresi l’agnosticismo o l’ateismo, e può scegliere l’una o l’altra. Il potere politico deve garantire questa sua libertà di scelta e questo lo può fare solo rimanendo indifferente a quale scelta venga fatta. L’individuo ha un libero arbitrio che precede la scelta di una religione o di un’altra e questo libero arbitrio è quanto la legge e il potere politico devono garantire. Non si garantisce una scelta ma la libertà di scegliere. La libertà di religione è intesa come la possibilità di scegliere, e poi di professare, liberamente la religione scelta.
Il potere politico è quindi agnostico verso la religione e le religioni, non entra nel merito, non la considera una dimensione a se confacente. Il motivo per sostenere questo, di solito, è il principio di laicità al quale dovrebbe attenersi il potere politico. Se esso distinguesse tra religione e religione eserciterebbe una specie di protettorato per l’una o per l’altra.

PERCHÉ QUESTA CONCEZIONE È SBAGLIATA
Questa concezione è sbagliata. In questo modo, la libertà di scelta è indifferente al contenuto di verità delle varie religioni. Se viene pubblicamente riconosciuta all’individuo la possibilità di scegliere ogni religione, vuol dire che non c’è una religione più vera di altre né una religione che contenga degli errori pericolosi per l’uomo e per la società. Ognuna potrebbe essere sia vera che falsa.
Così facendo, sia il singolo individuo che il potere politico accettano di non avere dei criteri razionali di verità per valutare le religioni. Questo significa che o le religioni non sono soggette a criteri di verità o che l’individuo e il potere politico pensano che la ragione sia così debole da non capire se una religione è più vera di un’altra. È evidente che, in ambedue i casi, c’è una separazione tra ragione e religione.
Ecco allora perché questa versione della libertà di religione non può essere accettata. Essa implica la separazione tra libertà e verità (delle religioni) e tra ragione e religione. Una simile separazione non può essere accettata né dalla ragione né dalla religione (cattolica).

LIBERTÀ E VERITÀ
Concentriamoci ora sulla concezione di libertà che sta alla base della visione della libertà di religione che abbiamo appena visto. Si deve distinguere tra libero arbitrio e libertà. Il primo è la pura capacità di scegliere, la seconda è l’esercizio della scelta secondo il bene. Fare il male comporta la perdita della propria libertà. Il libero arbitrio è una pura capacità di scelta e, quindi, è moralmente non significativo e assolutamente astratto. La libertà vera si ha nella scelta fatta secondo il bene; la schiavitù vera consiste nella scelta del male. San Paolo o Socrate in carcere erano liberi, un terrorista o uno stupratore fuori dal carcere non sono liberi.
L’esistenza di una libertà precedente il bene e il male è l’idea della modernità, ma non è l’idea cristiana. Si tratta di una libertà astratta, vuota e assoluta, che diventa essa stessa giudizio del bene e del male. Se una cosa non è scelta liberamente è male, una cosa scelta liberamente è bene solo per il fatto di essere scelta liberamente. In questo caso Maria Santissima non sarebbe stata libera, dato che libertà era già tutt’uno con la verità. Invece la libertà è resa tale non solo dallo scegliere ma anche dalla scelta: essa ha a che fare fin da subito con la verità. Non può quindi esistere una libertà di scelta indifferente alla verità di quanto viene scelto. Ciò avviene anche nel caso della scelta della religione. Quando si sceglie una religione si compie un atto di libertà connesso fin da subito con il problema della verità. La verità delle religioni che si scelgono assume così un’importanza fondamentale per la vera libertà della scelta. La verità vi farà liberi.

LIBERTÀ DI RELIGIONE E LEGGE MORALE E NATURALE
Una evidente dimostrazione di questo è la possibilità di scegliere religioni che contraddicono principi di legge morale naturale. Una religione che richiedesse di sacrificare esseri umani agli dèi, l’uccisione degli infedeli, le mutilazioni genitali, oppure che impedisse le trasfusioni di sangue per motivi di salute, o subordinasse la donna all’uomo, che prevedesse il diritto del marito di stuprare la moglie, che imponesse forme di governo teocratiche, che prevedesse la prostituzione sacra oppure il plagio delle menti degli adepti, oppure i matrimoni combinati con bambine, oppure la poligamia o la poliandria o che ritenesse lecita l’omosessualità, oppure che prevedesse percorsi di spersonalizzazione… non rispetterebbe la legge morale naturale. Queste religioni conterebbero elementi di falsità e non di verità, di male e non di bene. Chi le scegliesse perderebbe (liberamente) la propria libertà.
Il potere politico non può allora porsi come indifferente rispetto alla varie religioni, ma deve esaminarle alla luce della ragione pubblica e dell’autentico bene comune. Non può allora ammettere un indiscriminato diritto alla libertà di religione. Ci sono religioni – oppure aspetti di alcune religioni – che non hanno diritto a essere professate in pubblico. Certo che, per fare questo, bisognerebbe che il potere politico non avesse rinunciato, come purtroppo ha fatto, all’idea che la ragione politica possa conoscere il bene comune. L’indiscriminata tolleranza per tutte le religioni è figlia della debolezza della ragione in generale e della ragione politica in particolare. Ma non si creda che ciò non dipenda anche dall’aver smesso di pensare pubblicamente che possa esistere una religione vera. La politica è incapace di concepire un bene comune che faccia da criterio di valutazione delle religioni perché ha perso di vista il suo rapporto con la religione vera. Questo è un punto su cui torneremo: il rapporto con la religione vera permette alla ragione di valutare razionalmente la verità delle religioni.

IL SILLABO
Si capisce da quanto detto che la visione preconciliare del Sillabo aveva le sue legittime motivazioni. Il bene comune della società umana implicava il rispetto della legge morale naturale. Elementi di legge morale naturale ci sono più o meno in tutte le religioni ma solo la religione cattolica la garantisce completamente. Inoltre la legge morale naturale, che in linea di principio è accessibile anche alla retta ragione, di fatto ha bisogno della religione cattolica sia per essere adeguatamente conosciuta sia per essere adeguatamente rispettata. Per questo fa parte del bene comune non solo la legge morale naturale ma anche la religione cattolica, senza della quale anche i vincoli della legge morale naturale vengono meno. Papa Francesco ha scritto nella Evangelii Gaudium che c’è un diritto a conoscere il Vangelo. Dogmi cattolici hanno fatto la storia e le eresie avrebbero distrutto la società. Ecco perché lo Stato riteneva di dover proteggere la religione cattolica e impedire le altre religioni.
I ragionamenti ora visti sono stati condotti dal punto di vista della ragione politica. Dal punto di vista della religione cattolica si deve aggiungere che la vita sociale e politica non è indifferente alla salvezza eterna delle anime. Certamente lo Stato non è la Chiesa e anche San Tommaso diceva che non si devono impedire per legge se non i peccati più gravi. Ma è evidente che l’organizzazione della vita terrena può impedire gravemente la salvezza delle anime. Tale vita terrena non ha solo un significato strumentale verso quella eterna, ha anche una sua propria dignità dovuta alla creazione, eppure, dentro l’unicità della vocazione alla salvezza, gioca un ruolo fondamentale per la salvezza o la perdizione.
Faccio notare che tutti i concetti ora visti sono rimasti perfettamente tali nel magistero successivo e odierno: che esista una legge morale naturale, che tale legge morale naturale abbia bisogno della religione cristiana, che non esista un ordine naturale completamente autonomo rispetto a Dio, che la religione cristiana abbia la pretesa di essere la religione vera, che del bene comune faccia parte la religione vera, che le persone e le società (per gli Stati vedremo poi) abbiano dei doveri verso l’unica vera religione è considerato dottrina anche oggi. In altre parole la regalità sociale di Cristo è tuttora dottrina della Chiesa.

CONCLUSIONE
Per paradossale che possa sembrare, è solo il rapporto privilegiato tra ragione politica e fede cattolica che garantisce la vera libertà di religione a tutte le religioni. La fine dello Stato confessionale, la deriva violenta più che garantista dell’indifferentismo religioso, la grave intolleranza praticata da chi pretende di essere tollerante ma non tollera chi pensa che non tutto si possa tollerare, ci hanno già mostrato che le religioni possono godere di un vero rispetto, anche se non assoluto, solo dentro una civiltà in cui ragione politica e fede cattolica tornino a saldarsi. Non sono in contraddizione, quindi, i cattolici che si battono per ristabilire questo nesso ed essi non possono essere rimproverati di non rispettare la libertà di religione.

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