RIASSUNTO  La storicità dei Vangeli

I VANGELI RISPETTANO TUTTI I CRITERI SCIENTIFICI DI CREDIBILITA’ STORICA

Tante prove confermano che non potevano essere scritti a tavolino inventando una storia

 

La terza edizione de Il giorno del Timone della Toscana, svoltasi a Staggia Senese sabato 17 settembre ha visto la partecipazione di nomi illustri come Andrea Tornielli, giornalista e scrittore, vaticanista de La Stampa e collaboratore del Timone, che ha tenuto una conferenza sulla storicità dei Vangeli.
Tornielli ci ha subito ricordato che questo tema è di enorme importanza visto che il Cristianesimo non è una religione come tutte le altre. Le religioni non sono altro che un tentativo dell’uomo di andare verso Dio, di costruire un ponte verso l’infinito a cui naturalmente aspira; il Cristianesimo, al contrario, ha alla sua origine un fatto: Dio stesso è venuto incontro all’uomo incarnandosi, in un momento storico ben preciso. Gran parte del mondo calcola lo scorrere dei giorni e degli anni a partire da quell’evento. Il Cristianesimo non è una filosofia, un’insieme di massime, riti o dogmi ma, come lo definisce il Santo Padre Benedetto XVI è l’incontro con una Persona.
Il cristiano ogni domenica alla Santa Messa recitando il Credo ad un certo punto nomina un prefetto di Giudea, Ponzio Pilato. Questo aggancio con la storia è stato voluto dalla Chiesa stessa fin dalle sue origini. Un archeologo, scavando a Cesarea Marittima trovò un’iscrizione che conferma l’esistenza di Ponzio Pilato; del resto c’è da dire che fino ad ora nessuna scoperta scientifica ha mai smentito alcun versetto del Vangelo, anzi ne ha dato solo conferme.
Sulla storicità dei Vangeli, ha ribadito Tornielli, sta o cade la fede cristiana. Certo forse non è attraverso le scoperte storiche e scientifiche che si possono portare le persone a convertirsi, perché Dio ha lasciato a ciascun uomo una libertà infinita; ma certamente queste scoperte commuovono e confermano nella fede chi già la possiede. I codici sono dei granelli che ci aiutano a capire che ciò che leggiamo nei Vangeli sono testimonianze vissute da chi c’era.
La testimonianza oculare nel Vangelo possiede un’enorme importanza. Nel primo capitolo degli Atti degli Apostoli ai versetti 15 e 16 è narrato l’episodio della nomina dell’apostolo successore di Giuda Iscariota. Da quell’episodio si apprende che il requisito fondamentale per diventare apostolo di Cristo non è quello di essere pio o intellettualmente preparato, ma di essere stato con Gesù fin dall’inizio della sua predicazione e testimone della sua Resurrezione.
Se si pensa che i Vangeli sono stati scritti già a partire dal I secolo, non lontani dai fatti e quando molti testimoni erano ancora vivi, si esclude che possano essere stati scritti a tavolino. Colin Roberts pubblica un frammento di un papiro egiziano risalente al 125 d.C. su cui si trova una parte del Vangelo di Giovanni e al 157 d.C. risale il canone dei Vangeli già formato scoperto da Muratori, che ha ricevuto l’approvazione di Pio I.
In tutti i licei si studiano come vere le vite di personaggi dei quali esistono pochissimi frammenti di codici che ne certifichino l’autenticità storica. Del poeta latino Orazio esistono 150 frammenti, di Platone 11 e di Tacito appena 1. Del Nuovo Testamento del Vangelo ne esistono ben 2500. Possiamo dire quindi a ragione che Gesù Cristo è il personaggio storico di cui con maggiore certezza possiamo affermare non solo l’esistenza, ma anche i particolari della sua vita.
I Vangeli inoltre rispettano tutti i criteri di credibilità storica: credibilità del testo, della veste letteraria, degli autori, dell’ambientazione e del contenuto.
Alcune argomentazioni riguardano la logicità della veste letteraria. Ad esempio se si guarda al nome di Gesù si scopre che era uno dei nomi più diffusi nella Palestina all’epoca dei fatti. Non ha senso che l’ipotetico inventore della religione cristiana abbia chiamato il suo fondatore con un nome così comune. È come se noi oggi inventando il nome del fondatore di una nuova religione lo chiamassimo Mario Rossi. Ovviamente sceglieremmo un nome più altisonante e maggiormente caratterizzante…
Altri due momenti cruciali della storia presentano delle incongruenze con la mentalità dell’epoca: la nascita e la morte di Gesù. Alla nascita, narrata dall’evangelista Matteo grazie al racconto di Giuseppe e dall’evangelista Luca grazie a quello di Maria, i primi ad accorrere furono i pastori. Essi nella società giudaica di allora erano considerati border line: vivevano di espedienti, spesso di furti e non conoscevano nessuna pratica igienica. Erano suddivisi in tre categorie: quelli che avevano il bestiame vicino a casa, quelli che migravano solo in certi periodi dell’anno e quelli invece che si spostavano continuamente. Sono quest’ultimi ad andare alla grotta di Gesù: i più disprezzati, dei quali non valeva neppure la testimonianza in tribunale. Eppure loro furono i primi testimoni della nascita di Cristo. Quale essere umano, dovendosi inventare una storia credibile innanzitutto per i suoi contemporanei avrebbe inventato una storia simile? Per non parlare della morte di Gesù, dopo la quale, le prime testimoni della Resurrezione sono due donne. Nella struttura giuridica dell’ebraismo dell’epoca la donna, essendo considerata inferiore all’uomo, non poteva testimoniare in un tribunale, dato che la sua testimonianza non valeva nulla. E un uomo avrebbe inventato la storia del Messia, cioè il Salvatore del mondo, inserendo come testimoni, quali garanti della veridicità degli avvenimenti, persone appartenenti a categorie sociali le cui testimonianze non contavano assolutamente nulla? Sarebbe stato fuori dalla logica umana.
La stessa cosa vale per le figuracce fatte da Pietro, colui che sarebbe diventato capo visibile della Chiesa: nessun uomo per rendere credibile e allettante il Vangelo avrebbe presentato Pietro come un uomo facile alla caduta e al tradimento, ma anzi lo avrebbe presentato come saggio, coraggioso e fedele fino alla fine. Ma gli evangelisti non potevano scrivere diversamente perché questa è la storia vera. Anche il testo letterario ha la sua importanza. Per secoli, ad esempio, gli esegeti hanno studiato il brano della guarigione presso la piscina di Betsaida, narrato nel Vangelo di Giovanni in cui si parla di una piscina a cinque portici. Dato che secondo questi esperti non poteva esistere una piscina con cinque portici ma al massimo con quattro, avevano da sempre cercato di dare al numero cinque una interpretazione allegorica. Finché la studiosa Picozza non scoprì l’esistenza della piscina: nessuno avrebbe mai potuto immaginare che il quinto portico fosse centrale. L’utilizzo della forma “c’è” al presente invece che “c’era” dimostra che questo episodio è stato scritto prima del 70 d.C., anno in cui Gerusalemme fu rasa al suolo.
Carmignac ha portato avanti degli studi per dimostrare che esiste un testo ebraico precedente a quello greco. Nella traduzione ebraica della preghiera del Benedictus soltanto nelle prime tre righe tre parole hanno la stessa radice dei tre protagonisti: Giovanni, Zaccaria, Elisabetta. Difficile credere che sia semplicemente un caso. Se così non fosse, l’origine dei Vangeli sarebbe più antica della versione greca, quindi molto più vicina all’epoca dei fatti.
Lo scrittore Andrea Tornielli, concludendo la sua relazione, ha spiegato che non sarebbe bastato un giorno per esaurire l’argomento e portare alla luce tutti gli studi e le scoperte che dimostrano la storicità dei Vangeli.
Certo è che il Vangelo non si spiega attraverso categorie sociologiche e non si incasella nelle logiche umane. Del resto non si spiega come delle persone rozze e concrete quali erano gli apostoli, abituati ad arrendersi solo all’evidenza dei fatti, davanti ai quali Gesù risorto mangia e beve per farli credere, abbiano iniziato per una pura invenzione, a soli due giorni dalla sua morte, ad annunciare il Vangelo e a farsi uccidere per questo. Ma più di tutto non si spiega come la Chiesa, composta da uomini imperfetti e peccatori fin dalle sue origini, abbia potuto attraversare più di 2000 anni di storia reggendosi su una invenzione senza che nessun uomo, nessuna istituzione e persino nessun regime totalitario sia riuscito a smascherarla o semplicemente a farla cadere. Ciò dimostra senza ombra di dubbio che il suo fondatore è Dio.

VIDEO  Clip dal film "God's not dead 2"

I VANGELI SONO AUTENTICI

Nel film God’s not dead 2, che narra il processo a una insegnante che ha parlato di Gesù in classe, tra i vari testimoni c’è James Warner Wallace, agente FBI del dipartimento di casi irrisolti… Non è un attore, ma una persona reale che recita la parte di “se stesso”.



Per approfondimenti sul film “God’s not dead”, clicca qui!

ARTICOLO  La Chiesa si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo

OMELIA DI MONS. MORAGLIA

Il Vescovo di La Spezia (oggi Patriarca di Venezia), ha sottolineato che il Timone è un progetto culturale espressione di una fede amica della ragione: ”E’ necessario che strumenti culturali come il Timone sboccino numerosi per stimolare la fede del credente del nostro tempo”

 

Nelle navi, anche le più grandi, lo strumento più importante che permette di puntare alla meta è il timone; la rotta, anche nelle condizioni di navigazione più avverse, è garantita proprio da questo piccolo strumento; infatti, pur nella sua piccolezza, il timone è in grado di governare anche l’imbarcazione più grande. Il nome di una rivista esprime un progetto: Il timone, quindi, è denominazione eloquente.
Abbiamo appena ascoltato la parabola del seminatore (Lc 8, 4-15) che esce e sparge il seme che si posa su diversi tipi di terreno: un po’ cade sulla strada, un po’ sulle pietre, parte, invece, finisce tra i rovi, infine, una parte sulla terra buona; i differenti terreni accolgono il seme sparso dal seminatore senza preferenze, senza distinzioni, senza calcolo; Dio non fa preferenze, non esclude nessuno. Qui viene alla mente ciò che in un’altra parabola il padrone della vigna dice all’operaio che, al termine della giornata, si lamenta perché quanti hanno lavorato meno di lui, sono trattati con grande generosità, in modo da non essere penalizzati rispetto a quanti – senza alcun merito – erano stati chiamati a lavorare fin dall’inizio della giornata. L’ultimo versetto della pericope evangelica appena letta dice: «terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza» (Lc 8, 15). Ora domandiamoci: che cosa ci costituisce terra buona?  La risposta è: la grazia che, sempre, interpella la libertà dell’uomo.
All’inizio della nostra personale relazione con Dio c’è la risposta alla domanda che Lui, in modo misterioso ma realissimo, rivolge a ogni uomo; così è proprio nel bene o nel male che ci rapportiamo a Dio; alla fine, dinanzi a Dio, non è possibile alcuna comoda neutralità. La fede, infatti, è l’atto personale con cui l’uomo si consegna totalmente al Dio che salva; quindi é proprio attraverso l’atto di fede che l’uomo raggiunge il fine della sua esistenza, la pienezza del suo essere uomo. Così è proprio attraverso la fede che l’uomo raggiunge la completezza del suo progetto umano; infatti il rapporto con Dio non è per l’uomo un optional, ma qualcosa d’essenziale perché egli possa essere compiutamente tale.
La dottrina sociale della Chiesa – come diremo – nasce dall’incontro tra ragione e fede. Comprendiamo, così, come l’atto di fede non possa bypassare la ragione dell’uomo, la sua storia e la sua natura, ma debba intercettarle, esprimerle pienamente e, se è il caso, correggendole, valorizzandole e portandole a compimento, costituendoci, così – ma non in modo astratto o fideistico – figli nel Figlio. In altre parole, l’adesione di fede assume e porta a compimento, in noi, tutte le potenzialità sia quelle creaturali, sia quelle filiali; così, l’uomo non può dire: “io credo”, se non ha motivi sufficienti che rendano plausibile questa sua scelta sul piano umano e che, quindi, avalli il nostro abbandono in Dio. Insomma, l’atto di fede non può contrastare con la caratteristica specifica dell’uomo: la libertà che, in alcun modo, consiste in una fiducia acritica o in una specie di salto nel buio; infatti ciò significherebbe che, proprio nel momento in cui l’uomo raggiunge la pienezza del suo essere uomo, ossia della salvezza, ciò avverrebbe contraddicendo la caratteristica essenziale dell’uomo: la sua libertà.
Benedetto XVI ribadisce – ed è una costante del suo Magistero – la necessità di “allargare” gli spazi della ragione; secondo molti filosofi sia moderni sia contemporanei la ragione, invece, non deve occuparsi né dell’etica, né della religione, tanto meno di Dio, poiché si afferma che non esiste un sapere degno di tale nome in grado di dare risposta a tali domande; ne consegue, così, che tutte le fedi religiose e i sistemi etici partecipano di tale comune irrazionalità. Nell’incontro con i rappresentati della scienza, svoltosi presso l’Università di Regensburg – il 12 settembre 2006 -, il Santo Padre così si esprimeva: «L’occidente, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così potrebbe subire solo un grande danno. Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della Ragione, non il rifiuto della sua grandezza… E’ a questo grande Logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori» (Incontro con i rappresentanti della scienza, 12 settembre 2006, Regensburg).
Nella nostra epoca – indicata un po’ troppo frettolosamente come post-ideologica – assistiamo, in realtà, all’affermarsi di un nuovo tipo d’ideologia, il “riduzionismo”. A differenza delle ideologie dell’ottocento e novecento, il “riduzionismo” non si pone come lettura onnicomprensiva della realtà – pensiamo, ad esempio, al comunismo e al nazismo – ma come sua suddivisione e separazione che, tuttavia, continuano a esser presentati come il tutto. Nel “riduzionismo” – dicevamo – si opera una suddivisione e separazione della realtà considerando, però, le singole parti ancora come il  tutto. Ad esempio la procreazione è ridotta a riproduzione in laboratorio; la famiglia a un accordo tra le parti a prescindere dalla vocazione iscritta nell’essere dell’uomo e della donna; i diritti, poi, sono ridotti a desideri, il sapere dell’uomo a pura verifica sperimentale, la verità all’interesse di una parte, la veracità alla sincerità; gli esempi potrebbero continuare.
La fede cristiana, però – giova ripeterlo -, non teme una ragione forte, anzi la auspica; piuttosto teme una ragione debole o che si pone in termini di assoluto, ossia in modo autoreferenziale, che si propone come criterio di verità; una ragione, insomma, che giudica tutto e tutti dimenticando che, come l’uomo, anche la ragione è realtà creata e quindi contingente e strutturalmente impossibilitata a divenire criterio assoluto di giudizio, come se fosse la ragione onnisciente e onnipotente di Dio. Pascal – il grande filosofo e scienziato francese del XVII secolo – ricorda che, da parte dell’uomo, è atto eminentemente ragionevole riconoscere che vi sono innumerevoli cose che superano la ragione umana.
Ritorniamo al Vangelo del seminatore che sparge il buon seme e alla domanda: cosa vuol dire esser terra buona? La fede – atto con cui ci si apre a Dio – non solo non può contraddire la ragione, ma neppure prescinde da essa, anzi deve rispettare e portare a compimento la ragione. San Tommaso, in un passo della Somma Teologica, si serve di un’espressione che aiuta a comprendere come, per essere terra buona, si debba “stare”di fronte a Dio, con la totalità della propria persona: spirito, anima e corpo. San Tommaso così scrive: «Gratia supponit naturam et eam perficit» (I, q.1, art. 8), quindi anche la ragione, con tutto quanto si lega a essa sul piano naturale/creaturale, ha a che fare con l’atto di fede. La fede, innanzitutto, rimane opera della grazia, ma la grazia divina suppone e interpella sempre la libertà dell’uomo.
Partendo da tale considerazione, siamo avvertiti che, per il cattolico che voglia essere consapevole della propria fede, è doveroso creare un clima culturale che permetta la costruzione di un cammino che consenta alla fede – nel rispetto della libertà di tutti – d’essere accolta. Per rimanere al linguaggio del Vangelo del seminatore, si tratta d’essere terra buona in cui il seme possa attecchire. Siamo tutti parte di una società segnata in modo forte dall’individualismo e dal relativismo; in essa la coscienza del singolo non viene più considerata come organo di giudizio a partire dall’ascolto della realtà, ma assurge a vero e proprio “oracolo” che, a suo gradimento, determina gli stessi fini dell’agire. Ci muoviamo all’interno di una società che, a ragione, è stata definita “liquida”, poiché non in grado d’elaborare certezze di alcun tipo; in essa tutto muta così rapidamente da non riuscire a consolidarsi in abitudini e procedure. In una tale società o si finisce per non percepire più il relativismo imperante o, sempre più, si avverte la necessità di strumenti capaci di aiutare a ripensare – all’interno di una rinnovata capacità critica – la cultura o, meglio, le culture in cui, oggi, siamo chiamati a vivere dando il nostro contributo in vista del bene comune.
Si dispiega qui – come già accennato – l’ampio versante della dottrina sociale della Chiesa che, come ha ricordato Benedetto XVI, si trova al punto d’incontro tra ragione e fede. E, in tale prospettiva, è essenziale che la cultura cattolica non disarmi e non abdichi a se stessa, ma persegua il potenziamento di strumenti culturali idonei: uno di questi è offerto dalle riviste di approfondimento. Il Timone si muove secondo tale logica e aiuta a conoscere – fuori dai luoghi comuni – quanto riguarda la fede, confrontandosi con la ragione, senza della quale tutto si riduce a sterile fideismo o vuota credulità.
Così, in un mondo ampiamente secolarizzato, è decisivo che siano a disposizione questi strumenti che accompagnano, in maniera concreta, il credente verso una piena maturazione di fede. Credere, infatti – come insegna Benedetto XVI -, significa dare ragione della propria speranza/fede con pacatezza, bontà e mitezza ma, per fare questo, abbiamo bisogno di crescere nelle conoscenze, nella capacità di discernimento, riconoscendo che alla base di tutto ci sta Dio che si dona in Gesù Cristo e senza del quale diventa impossibile realizzarsi pienamente come uomini. Troppo spesso appaiono volontà personali e sociali che – errando – pensano di poter costruire un uomo e una città senza Dio, al di fuori di Dio o contro di Lui. Nell’enciclica Deus caritas est, Benedetto XVI parla di un necessario allargamento della ragione e assegna tale compito proprio alla ragione, mentre nell’enciclica Spe salvi lo attribuisce alla speranza. L’insegnamento sociale della Chiesa è il risultato dell’incontro tra “fede e ragione” o se preferiamo – ed è lo stesso – tra “grazia e natura”, perché l’uomo, se vuol essere “terra buona”, non può prescindere dalla fede e dalla ragione, dalla grazia e dalla natura.
In questa prospettiva è necessario che strumenti culturali come Il Timone, espressioni di una fede amica della ragione, nel rispetto della totalità dell’uomo – grazia e natura -, sboccino numerosi per stimolare la fede del credente del nostro tempo. Il mensile Il Timone, quindi, come progetto culturale manifesta bene tale impegno che risulta, in modo evidente, nelle sue diverse proposte editoriali. E’ proprio il seme sparso dal divino seminatore che, unitamente alla “buona terra”, costituisce l’uomo nella sua totalità; un uomo che è in grado di dar ragione della propria speranza, evangelizzatore credibile, innanzitutto, perché credente.

Tutte le conferenze di Tornielli
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