RIASSUNTO RU486 e testamento biologico
VITE DA BUTTARE
L’incontro del 28 maggio 2010 ha avuto come titolo “Vite da buttare: dalla RU486 al testamento biologico”.
Il 2010 è stato caratterizzato infatti da due eventi che segnano un avanzamento della Cultura della Morte più volte denunciata da Giovanni Paolo II. In entrambi i casi ci si accanisce contro la vita umana nelle sue fasi più deboli: il bambino nella pancia della mamma e la persona anziana.
Proprio quest’anno in Italia è stata introdotta definitivamente la pillola abortiva RU486 che vede, tra l’altro, la regione Toscana al primo posto per pillole vendute. La soppressione degli innocenti viene ancora più banalizzata e si diffonde il falso mito dell’aborto dolce.
L’altro evento è stata la discussione in parlamento sulla legge sul cosiddetto testamento biologico. Con una strana convergenza di tutte le forze politiche, probabilmente si arriverà all’approvazione di una testo che permetterà ai fautori dell’eutanasia di avere diversi appigli nella legge in questione per ripetere tanti casi come quello drammatico di Eluana Englaro che qualcuno si illude di impedire appunto con il testamento biologico…
A parlarci di questi problemi abbiamo avuto il piacere di ospitare per la quarta volta a Staggia il professor Mario Palmaro, presidente del comitato “Verità e Vita”, docente di Filosofia del Diritto alla Università Europea di Roma, conduce su Radio Maria la trasmissione “Incontri con la Bioetica”, fa parte della redazione del Timone.
Ha introdotto la serata il dottor Paolo Delprato, presidente dell’associazione “Scienza & Vita” di Siena e del C.A.V. (Centro di Aiuto alla Vita) di Siena.
Mario Palmaro ha ricordato che quando a Jerome Lejeune chiesero un giudizio sulla pillola abortiva Ru486, il grande genetista francese rispose con una definizione terribile: “E’ un pesticida umano”. Per quanto ruvida, l’espressione rende bene il meccanismo con cui funziona questo prodotto, che provoca la morte e l’espulsione del figlio concepito nei primi 50 giorni della gestazione.
L’immissione in commercio a fine luglio 2009 anche in Italia della RU486 ha aperto una nuova discussione: meglio l’aborto chirurgico o quello chimico? In un dibattito sulla pena di morte, non sarebbe considerato segno di buon gusto discutere sul genere di strumento preferibile per uccidere il condannato. Gli avversari della pena capitale non saprebbero che farsene di uno Stato che, in nome di ragioni umanitarie, prometta di mettere nelle mani del boia mezzi più “umani” e meno fastidiosi per le coscienze. Ghigliottina o fucilazione, iniezione velenosa o sedia elettrica, sempre di pena di morte si tratterebbe. Anzi: quanto più il modo di agire del boia è pulito e indolore, tanto maggiore è il rischio di un’assuefazione collettiva, di un addormentamento delle coscienze. Prova ne sia che talvolta proprio la visione di un condannato sulla sedia elettrica viene usata – più o meno lecitamente – dai mass media per scuotere l’opinione pubblica. Ora, bisogna riconoscere che qualcosa di molto simile accade quando si discute di aborto e di pillola RU486. Si esalta il nuovo metodo e lo si dichiara preferibile all’aborto chirurgico perché meno traumatico per la donna. Ma così facendo, si nasconde il vero nodo del problema: e cioè che, se l’aborto è comunque sempre un male, anche dal punto di vista civile – e perfino i fautori della legge 194 una volta lo ammettevano – allora renderlo più facile e tranquillo non è certo un merito di cui menare vanto.
La RU486, la pillola approvata da fine luglio 2009 anche per l’Italia, permette di evitare il ricorso ai ferri del chirurgo. Ma il risultato è sempre lo stesso: tanto con gli strumenti del medico aborzionista, quanto con le sostanze chimiche ingerite dalla donna, si uccide un piccolo essere umano non ancora nato. Con la differenza che il risultato si ottiene con minor fatica e, dunque, con minor travaglio nella coscienza collettiva della società. So benissimo che il paragone con la pena di morte è irritante e politicamente scorretto; ma occorre riconoscere che, a dispetto dell’imbarazzata cappa di silenzio che nei media avvolge la realtà dell’aborto, esso rimane l’uccisione di un essere umano.
Nessuno può ignorare i drammi e le sofferenze delle donne, spesso lasciate nella solitudine e nella disperazione. Ma ciò non cambia la natura di quel gesto. Nel quale, a differenza di quanto avviene nella condanna capitale, la vittima non è colpevole di nulla, non ha subito un regolare processo, non ha avuto un avvocato a difenderla. Nessuno scenderà in piazza perché il piccolo uomo concepito sia risparmiato dalla “fucilazione” dell’aborto chirurgico, o dalla iniezione letale della Ru486. Per questo, la pillola approvata anche in Italia è davvero un passo avanti. Ma verso il baratro che attende la nostra civiltà ammalata.
PER APPROFONDIRE
MARIO PALMARO, Aborto e 194. Fenomenologia di una legge ingiusta, ed. Sugarco, 2008. Clicca qui!
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COMUNICATO In ricordo di Mario Palmaro
Il 9 marzo 2014 l’amico Mario Palmaro si è addormentato in attesa della risurrezione. Ci stringiamo in preghiera accanto alla moglie Anna Maria e ai figli: Giacomo, Giuseppe, Giovanna e Benedetto. Una delegazione degli “Amici del Timone” di Staggia Senese è stata presente al funerale a Monza.
Mario Palmaro ha fatto ben otto conferenze nel nostro centro culturale. Per questo e per l’amicizia che ci ha sempre dimostrato gli saremo eternamente grati.
Gli siamo grati anche per la telefonata che ha voluto fare a don Stefano dieci giorni prima di morire. Lo reputiamo un grande, ultimo, gesto di amicizia.
RIFLESSIONI DI MARIO PALMARO SULLA SUA MALATTIA
“La prima cosa che sconvolge della malattia è che essa si abbatte su di noi senza alcun preavviso e in un tempo che noi non decidiamo. Siamo alla mercé degli avvenimenti, e non possiamo che accettarli. La malattia grave obbliga a rendersi conto che siamo davvero mortali; anche se la morte è la cosa più certa del mondo, l’uomo moderno è portato a vivere come se non dovesse morire mai.
Con la malattia capisci per la prima volta che il tempo della vita quaggiù è un soffio, avverti tutta l’amarezza di non averne fatto quel capolavoro di santità che Dio aveva desiderato, provi una profonda nostalgia per il bene che avresti potuto fare e per il male che avresti potuto evitare. Guardi il Crocifisso e capisci che quello è il cuore della fede: senza il Sacrificio il cattolicesimo non esiste. Allora ringrazi Dio di averti fatto cattolico, un cattolico “piccolo piccolo”, un peccatore, ma che ha nella Chiesa una madre premurosa. Dunque, la malattia è un tempo di grazia, ma spesso i vizi e le miserie che ci hanno accompagnato durante la vita rimangono, o addirittura si acuiscono. È come se l’agonia fosse già iniziata, e si combattesse il destino della mia anima, perché nessuno è sicuro della propria salvezza. D’altra parte, la malattia mi ha fatto anche scoprire una quantità impressionante di persone che mi vogliono bene e che pregano per me, di famiglie che la sera recitano il rosario con i bambini per la mia guarigione, e non ho parole per descrivere la bellezza di questa esperienza, che è un anticipo dell’amore di Dio nell’eternità. Il dolore più grande che provo è l’idea di dover lasciare questo mondo che mi piace così tanto, che è così bello anche se così tragico; dover lasciare tanti amici, i parenti; ma soprattutto di dover lasciare mia moglie e i miei figli che sono ancora in tenera età.
Alle volte mi immagino la mia casa, il mio studio vuoto, e la vita che in essa continua anche se io non ci sono più. È una scena che fa male, ma estremamente realistica: mi fa capire che sono, e sono stato, un servo inutile, e che tutti i libri che ho scritto, le conferenze, gli articoli, non sono che paglia. Ma spero nella misericordia del Signore, e nel fatto che altri raccoglieranno parte delle mie aspirazioni e delle mie battaglie, per continuare l’antico duello”.
Mario Palmaro
27 ottobre 2013
NOI CONTINUEREMO LA BATTAGLIA
Sì, caro Mario, noi raccogliamo le tue aspirazioni e continueremo le tue battaglie in modo da poter dire con San Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede” (2 Tm 4,7).
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